Maria Sacco, ex campionessa dell’ippica, domenica 9 ottobre 2011 morì cadendo da cavallo nelle campagne del Varesotto. Aveva 53 anni. Fu la seconda donna a diventare fantino in Italia dopo Tiziana Sozzi. Un tragico destino per la campionessa. L’amazzone fu sequestrata il 9 novembre 1978 da una banda di calabresi, segregata per 4 mesi e rilasciata, dopo il pagamento del riscatto, in via del Centauro a Milano. Il rapimento più lungo per una donna, durato 108 giorni.
Per quel rapimento furono arrestati un bracciante agricolo, i suoi due figli e un commerciante. Questi i loro nomi: Paolo Giorgi, i figli Sebastiano e Antonio, e un loro parente Francesco Strangio. I carabinieri accertarono che i figli del Giorgi e lo Strangio avevano acquistato un podere in località Caldara di Brancaleone pagandolo 54 milioni di lire, venti dei quali provenienti dal sequestro Sacco. In casa della famiglia Giorgi furono trovati altri nove milioni. La giovane donna, al momento del rapimento, stava recandosi a San Siro in tenuta da fantino; quando in viale Coni Zugna fu affrontata da due uomini, scesi da una Fiat 128 e trascinata a forza sulla vettura. Seguirono 108 giorni di prigionia durante i quali la magistratura adottò il provvedimento di bloccare i beni della famiglia Sacco fino a confiscare i soldi del riscatto: circa un miliardo e mezzo di lire in contanti. Quando il padre della fantina, l’ingegner Remo Sacco, trovò altro danaro per soddisfare le esigenze dei sequestratori, Maria finalmente fu liberata. Era la sera del 24 febbraio 1978.
Come fu liberata? Ai cronisti del tempo Maria Sacco disse: «Una mattina i carcerieri si sono dati il cambio. I nuovi arrivati mi hanno detto: se stai brava, esci. Ma io avevo il terrore di fare la fine di Milena Sutter e mi sono rifiutata di entrare nel bagagliaio. Mi hanno messo i cerotti sugli occhi. Mi hanno scaricato per strada ordinandomi: conta fino a cento e levateli. Figurarsi: ho borbottato “1 – 21 – 94 -100”e me li sono tolti. Ero davanti alle scuderie di San Siro». Le chiesero: ora è guarita? E lei: «È una dura prova che ho superato. Ma mio padre è morto per un aneurisma e anche per lo stress patito. Comunque, è meglio un sequestro di una malattia. Poi perdonò i rapitori con questa motivazione: «Senza non poteva ottenere la grazia. Non so se l’ha ottenuta. Era reo confesso di uno dei crimini più vili, ma l’ho perdonato perché non sono né un giudice né Dio per conoscere la verità».
Un grande gesto di nobiltà. Ma il destino nei suoi confronti è stato crudele.
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