di Astolfo Perrongelli
“Che dico ai giovani. Dico che loro sono il futuro. Che solo i sacrifici rendono liberi, che devono immaginare e sognare un mondo diverso. Un mondo in cui i diritti non siano pilotati dalle regole dello scambio e dove i doveri siano al centro della vita quotidiana. Oltre ai sacrifici,

occorre studiare, impegnarsi in politica e non essere dei semplici spettatori disinteressati”. Più chiaro di così. A parlare è Antonio Nicaso,
giornalista, storico delle organizzazioni criminali, è uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta. Insegna, fra l’altro, storia sociale della criminalità organizzata alla Queen’s University. Insieme a Nicola Gratteri ha pubblicato, da Mondadori, numerosi bestseller: Fratelli di sangue, La malapianta, La mafia fa schifo, La giustizia è una cosa seria, Dire e non dire, Acqua santissima, Oro bianco, Padrini e padroni, Fiumi d’oro, La storia segreta della ‘ndrangheta. Da Bad Blood è stata tratta una serie televisiva di grande successo.
Sono state eseguite centinaia di operazioni contro la criminalità organizzata calabrese. Possibile che la ‘ndrangheta sia ancora la più forte tra le mafie?
Sicuramente è tra le principali organizzazioni criminali al mondo come ricchezza e come potere. È difficile calcolare il fatturato della malavita ma se ci si basa sui risultati delle ultime indagini, dai sequestri di droga, alle confische, emerge un iperattivismo imprenditoriale criminale che non conosce confini.
Si può affermare che la ‘ndrangheta “sia entrata da tempo nella Borsa”?
Si muove in diversi contesti. Oggi è una organizzazione che investe molto lontano dalla Calabria, ha colonizzato intere regioni ed è presente in molte nazioni dove detta legge. Si occupa di tante attività che le garantiscono ingenti introiti, non solo il traffico di droga. Investe in Borsa, è presente nel commercio immobiliare e in quello delle infrastrutture. Poi non manca l’interessamento per le criptovalute, le false fatturazioni. È una struttura, dunque, che sa adattarsi ai nuovi scenari: anche a quelli tecnologici che portano alla globalizzazione dei mercati finanziari. Ha contatti con professionisti, politici, imprenditori, broker, finanzieri. Insomma, resta legata alle tradizioni ma guarda con occhio maligno al futuro.
Sarà una domanda banale: la Calabria è la sempre sede principale della ‘ndrangheta oppure con i suoi tentacoli ha creato diverse localizzazioni?
No, ritengo che sia una base imprescindibile dovuta alle tradizioni che crea senso di identità, di appartenenza. La ‘ndrangheta ha la testa pensante sempre in Calabria ed è capace di sistemarsi in giro per il mondo. Questo è un valore negativo aggiunto. Tuttavia, è impossibile comprendere questo fenomeno criminale se non si tiene conto della sua storia, delle sue radici e del valore oltre che simbolico ma pure strategico.
È stato il primo a utilizzare il termine “partenariato criminale”. Potreste spiegarne il significato?
Negli anni Novanta, ho notato che organizzazioni criminali di diversa estrazione stavano mettendo a frutto competenze ed esperienze. Stavano creando joint criminal ventures. Col passare del tempo, queste saldature di interessi si sono intensificate. Oggi, per esempio, sono sempre più frequenti i contatti tra malavita e gruppi terroristici . La ‘ndrangheta ha costruito complicità con il cartello colombiano di Medellin, con quello di Cali, con le Farc, con le Auc, con la Autodefensas Gaetanista, con il clan del Golfo . Sono emerse pure connivenze con organizzazioni straniere come le Fichas boliviane, con i superstiti di Sendero Luminoso in Perù, con Primero comando da capital in Brasile. Va sottolineata inoltre l’abilità di mercanteggiare, pensa che acquista la cocaina a prezzi stracciati rispetto a quelli di mercato. Non è da meno la capacità di scoprire indagini che la riguardano, di avere infiltrato suoi esponenti nelle istituzioni che in qualche modo aiutano i boss a evitare di finire nella rete degli investigatori.
Da quanto appena sostenuto appare chiaro che ci siano stretti rapporti pure con le altre organizzazioni criminali per ottenere simili appoggi.
Erano già noti in Italia i rapporti con la camorra, con cosa nostra con cui spesso acquista quantitativi di cocaina, oppure mettono in atto delle iniziative in comune. Salvo rare eccezioni non ci sono mai stati scontri tra le mafie italiane. Mi viene in mente soltanto l’uccisione in Lombardia, a Varese di Roberto Cutolo, figlio di Raffaele il vecchio boss di Ottaviano. Un delitto compiuto per uno scambio di favori: ossia la morte di Roberto Cutolo avrebbe dovuto essere la conseguenza di alcuni omicidi di calabresi residenti in Campania e appartenenti a clan rivali.
Il coronavirus ha colpito ogni angolo della terra, provocando contagi e migliaia di vittime Diverse nazioni hanno adottato misure di chiusura per tutelare la salute dei propri cittadini. La ‘ndrangheta anche in questo periodo è stata in lockdown oppure ha continuato a muoversi?
Non credo che la ‘ndrangheta sia stata in lockdown almeno sul piano della programmazione e delle strategie. Nessuna mafia è andata in letargo. In questo arco di tempo la ‘ndrangheta si è infiltrata nella sanità acquisendo cliniche private, le ‘ndrine hanno cercato di acquistare mascherine, prodotti sanitari. Per farla breve, ha trasformato la pandemia in una ghiotta opportunità traendone guadagni milionari. Ancora: il traffico di droga è continuato nonostante tutto. Lo rivelano i sequestri di sostanze stupefacenti avvenuti in Olanda e in Spagna. In Italia lo smercio di droga è arrivata in modalità diversa. I mafiosi hanno sfruttato le connivenze estere facendo sbarcare i container nei porti di città straniere. la consegna della merce nel nostro Paese è avvenuta anche tramite automezzi che trasportavano beni di prima necessità. Mentre lo spaccio al dettaglio è stato effettuato utilizzando, tanto per fare qualche esempio, il sistema della consegna al domicilio dei pasti e della spesa dei supermercati. Addirittura sono stati utilizzati i droni.
Le fughe di notizie sul giudice Luca Palamara e le dichiarazioni, in “ritardo” di due anni, del togato del Csm, Nino Di Matteo durante un talk televisivo, per il mancato incarico al Dap: come fa il cittadino ad avere fiducia in una giustizia che è diventata uno showbiz?
Quando vengono alla luce questo tipo di notizie si fanno danni a una istituzione, la Giustizia che noi immaginiamo come una dea bendata capace di stare al di sopra delle parti ed essere terza. E poi che succede? Scontri tra magistrati negli studi televisivi, si scoprono forme di corporativismo, lotte di potere. Le correnti in magistratura avevano utilizzato metodi non molto diversi da quelli del manuale “Cencelli” usato per formare i governi nella Prima repubblica e probabilmente in quelle successive. Dà fastidio tutto ciò ed è importante che si possa avviare una fase di riflessione per mettere in discussione questo sistema delle correnti che spesso non tiene conto dei meriti ma bada alle appartenenze. Comunque, non tutti i mali vengono per nuocere. È questo caos potrebbe, ripeto, portare a una riflessione. Il sistema delle correnti va soprattutto cambiato, non si può perdonare il fatto che un magistrato sia nominato procuratore della Repubblica non perché lo meriti ma perché è legato a una corrente che negli equilibri di forza dimostra di avere più numeri rispetto ad altri. Non è giusto.
Infine: è la ‘ndrangheta che ha bisogno del politico o è il politico che ha necessità dell’apporto dei boss. Oppure entrambi non possono scontrarsi in nome del potere?
Prima erano gli ‘ndranghetisti a cercare i politici ora avviene il contrario. È una minoranza, fortunatamente, e si deve cercare di eliminare queste mele marce. Occorre che la politica sia al servizio del cittadino e non a quello delle lobby e dei sistemi di potere. La politica dovrebbe essere lo strumento per il cambiamento, per garantire stabilità. Ci sono però esponenti delle istituzioni collusi. Questo non riguarda l’appartenenza ma è un sistema generalizzato anche perché la ‘ndrangheta non ha una ideologia ma pensa al guadagno e al potere.