di Fiore Manzo e Luigi Bevilacqua
Le comunità Rom e Sinte, in Italia divise fra comunità di antico insediamento (XV secolo) e di recente migrazione venute dall’est Europa dagli anni ’70, sono pensate mediante un agglomerato di stereotipi positivi (figli del vento, zingari artisti…)

e negativi (ladri, stregoni, incivili…) presentandosi, al contempo, ipervisibili e invisibili (Giuffrè, 2014). Le stime ufficiali si aggirano fra le 110.000 e le 180.000 persone di cui almeno 30.000 vivono in condizione di disaggio abitativo. Il nostro è, secondo una ricerca, il paese con il numero più alto ( l’ 83%), di persone che ha una opinione sfavorevole sulla minoranza romanì. È opportuno ricordare che «l’architettura legislativa», che riguarda queste comunità, è legata a fonti regionali e secondarie.
Questo ha dato vita ad un corpus di leggi regionali, stipulate fra enti del terzo settore ed enti locali, che in nome della “salvaguardia” hanno dato vita agli odierni luoghi dell’esclusione. Diversi paesi, fra cui, Austria, Finlandia…, hanno riconosciuto la minoranza romanì mentre l’Italia li ha esclusi dalla legge 482 del 15 dicembre del 1999 che tutela, con apposite norme, le minoranze in Italia. È importante ricordare anche che una parte di queste comunità, circa 15.000 persone, sono o rischiano di essere apolidi (si veda rapporto Out of Limbo). In uno studio sulla condizione delle comunità romanès in Italia è emerso che sono costrette in un sistema di disuguaglianze. Nello specifico, «le dimensioni della disuguaglianza: lavorativa, economica, sanitaria, scolastica e abitativa» ( Di Noia, 2016) interagiscono fra loro. Disuguaglianza che, come viene precisato nello studio sopra citato, «è di tipo etnico-razziale, ma è in definitiva di carattere sociale, con fortissime radici storiche, e perciò essa va considerata come una delle svariate situazioni e forme di disuguaglianza esistenti all’interno del sistema sociale delle disuguaglianze». Tutto questo da vita ad una situazione in cui le comunità si trovano una netta disparita rispetto alla società maggioritaria. Oltretutto la riproduzione delle disuguaglianze rafforza gli stereotipi e i pregiudizi e si irrigidiscono ancora di più le dimensioni dell’esclusione ed emarginazioni che possono diventare anche auto esclusione/ auto emarginazione ( Di Noia, 2016). Le dimensioni della disuguaglianza, nello studio, forniscono un quadro allarmante che necessita di essere cambiato. Nonostante tutto la minoranza romanì fra discriminazioni, mancanza di opportunità di ogni tipo, esclusione dalle apposite norme di tutela… R-Esiste e prova a raccontarsi in maniera differente rispetto alle narrazioni stereotipati. Negli ultimi anni sono nate centinaia di associazioni, fra le comunità romanès, che prendono parola e raccontano la propria storia, le tradizioni ecc dall’interno.

Nonostante un lavoro costante da parte delle associazioni Rom/Sinte e pro Rom/ Sinti della situazione, soprattutto di quella parte più vulnerabile, poco o nulla è cambiato. I “campi nomadi” , ad esempio, fatti passare per cultura hanno alimentato solo distorsioni, odio e dato lavoro anche a persone che purtroppo non sono riuscite ad aiutare le comunità a superato l’orrenda situazione di chi ci abita. Da una parte, quindi, si pensa che alle comunità romanès spettano dei soldi dall’altra, in realtà, questi vengono spesi per determinati progetti e nulla arriva nelle tasche delle persone coinvolte ( si veda il rapporto segregare costa per una idea sulle spese dei campi). Una analisi interessante sulla situazione dei diritti delle comunità in questione fa emergere le lacune in meritano ad un quadro nazionale incoerente con le direttive della strategia nazionale di inclusione del 2012. Le istituzioni, ancora oggi, continuano a proporre sgomberi senza soluzioni alternative, ghetti istituzionali, progettazione inefficace, strumentalizzazione elettorale… (www.rapportodiritti.it) dall’altra parte anche i risultati della strategia nazionale non sono stati raggiunti e il ruolo di coordinamento, che avrebbe dovuto avere l’ufficio antidiscriminazione razziali, in realtà non lo ha avuto lasciando, di conseguenza, le cose alla discrezioni delle istituzioni locali. Le regioni, ad esempio, che avrebbero dovuto istituire i tavoli di pianificazione e coordinamento previsti dalla strategia non tutte, in realtà, lo hanno fatto. Così sino al 2018 solo 11 su 20 li hanno istituiti (www.rapportodiritti.it). Un’importante riconoscimento politico, non in linea con il corpus di leggi esistenti, è venuto dalla Regione Calabria che, dopo cinque secoli di presenza, tutela con una legga la minoranza romanì e promuove la cultura e lingua romanì oltre a riconoscere l’8 aprile ( romanò dives) e il 2 agosto ( samudaripè) come giorni di celebrazioni delle comunità romanès. Questa legge è l’inizio di una nuova primavera che, attraverso il lavoro dell’osservatorio regionale partecipato, inizierà a promuovere le reali esigenze delle comunità presenti sul territorio. Provando a trarre delle conclusione possiamo affermare che la situazione delle comunità romanès in Italia non è delle migliori ma anzi continua a peggiorare e solo attraverso degli interventi sistemici e non differenziati sarà possibile, ad esempio, superare i campi nomadi. Oltretutto, da una parte, non è negando l’esistenza etnica di queste comunità che si può promuovere e rafforzare l’identità romanì e dall’altra è necessario unirsi e promuovere, dall’interno, delle azioni politiche per arrivare ad essere rappresentati. L’unione fra comunità romanès e comunità gagikanès ora più che mai è necessaria per un futuro diverso dell’universo romanò in questo paese. Come fare? Progettiamo insieme!!!