di Margherita Corriere

La legge 67del 2006 è una legge di civiltà:  sancisce infatti  il diritto di chi vive una condizione di disabilità a non essere discriminato e prevede,  altresì,  che il Tribunale competente per territorio  possa ordinare la cessazione di un atto o di un comportamento che  lo discrimina. 

È fondamentale  l’ individuazione di ogni  forma di discriminazione, che si ha  quando una prassi, un provvedimento involontario o un comportamento in apparenza neutro mettono una persona disabile in una posizione di svantaggio rispetto agli altri. Con l’importante  riferimento all’art. 3 della Costituzione, l’art.1 della normativa in esame  intende  garantire   la “piena attuazione” della Legge 104/1992 , al cui articolo 3  viene definito disabile   “colui che presenta una minorazione

fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

 La legge distingue tra discriminazione diretta ed indiretta: si  ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. Si ha invece  discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono un soggetto con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto alle  altre persone.

Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona portatrice di handicap, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti .

Pertanto  il disabile che ritiene di avere subito un atto discriminatorio sia dal privato che dalla pubblica amministrazione, può depositare il ricorso, anche personalmente, nella cancelleria del Tribunale civile in composizione monocratica  e  può chiedere oltre alla cessazione del comportamento discriminatorio anche  il risarcimento del danno.

 Il Tribunale, omettendo qualsiasi formalità, procede agli atti di istruzione che ritiene necessari al fine del provvedimento richiesto e decide con ordinanza di rigetto o di accoglimento. In quest’ultimo caso, l’ordinanza è immediatamente esecutiva e la sua mancata osservanza fa scattare il procedimento penale di cui all’art. 388 primo comma del codice penale.

Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

Il giudice può ordinare, altresì,  la pubblicazione del provvedimento a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato

Nei casi di urgenza, il Tribunale provvede con decreto motivato, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il tribunale in composizione monocratica, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto.

Il Tribunale può non solo rimuovere  le ragioni o gli atti della discriminazione, ma  anche condannare il resistente al risarcimento del danno, inteso come  danno non patrimoniale  nella sua  categoria più  ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore  attinente alla persona

Competente per territorio è  sempre il Giudice del domicilio del ricorrente. Tale competenza è ritenuta inderogabile ex art. 28 c.p.c. e non può subire modifiche, neppure per ragioni di connessione .

Per quanto riguarda la rappresentanza processuale dei soggetti incapaci, valgono le regole comuni. Saranno legittimati i genitori dei disabili minorenni, i tutori e i curatori degli incapaci totali o parziali, nonché l’amministratore di sostegno, previa autorizzazione del Giudice Tutelare. Tali soggetti legittimati, in base alla  previsione dell’art. 4 della Legge 67, possono, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, delegare  enti preposti e riconosciuti ad agire in loro vece.

C’è da rilevare che tale normativa è  ed è stata fondamentale anche per la tutela del diritto allo studio  degli alunni portatori di handicap contro eventuali discriminazioni.

Ed infatti sono stati attivati   numerosi ricorsi antidiscriminazione per la tutela di tale diritto a favore di  minori disabili presso  vari Tribunali, che hanno accolto le loro  istanze.

In particolare si è trattato di alunni diversamente abili che, all’improvviso, si sono  ritrovati   le ore di sostegno notevolmente diminuite  rispetto all’anno precedente.

In tale modo questi studenti  venivano defraudati della presenza fondamentale del docente di sostegno e  privati pertanto  di  diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, quali , oltre al  diritto allo studio , quello all’ integrazione e alla parità di trattamento nei confronti  degli altri studenti. Ed infatti , in tali casi, la scelta dell’amministrazione  scolastica concretava  una illecita discriminazione  dei minori portatori di handicap, ex art. 3 della legge 104 del 1992,  che, in tal modo, avevano visto lesi i loro  diritti costituzionalmente  sanciti,  essendo stato violato in particolare l’art. 3 della nostra Costituzione , che prevede per tutti  parità di trattamento e la rimozione  di quegli ostacoli che possono di fatto impedire  quella parità ed uguaglianza tra tutti i soggetti.

Pertanto , essendosi commessa una grave discriminazione ai danni di tali studenti si procedeva a promuovere ricorso antidiscriminazione ai sensi della legge 67 /2006, che prevede un assoluto divieto  di discriminazioni  in danno delle persone disabili onde favorirne il pieno godimento dei loro diritti .

Nel caso particolare si aveva una discriminazione indiretta, giacché la riduzione delle ore di sostegno in precedenza garantite  non trovava nessuna  corrispondente contrazione  di didattica per gli alunni non svantaggiati: l’esercizio del diritto allo studio non era stato parimenti ridotto anche  per tutti gli studenti normodotati, provocando così una grave discriminazione indiretta solo per gli studenti disabili.

Pertanto poiché la riduzione delle ore di sostegno agli alunni portatori di handicap aveva  comportato una contrazione del loro diritto fondamentale all’istruzione, la scelta della pubblica amministrazione, finendo per incidere negativamente  solo sulle situazioni giuridiche soggettive  dei disabili, concretava una discriminazione indiretta ai loro danni e doveva essere rimossa. I Tribunali hanno accolto tali richieste e hanno ordinato al Ministero dell’Istruzione , Università e Ricerca la cessazione della condotta discriminatoria consistente nella riduzione delle ore di sostegno prestate in favore degli studenti disabili, condannandolo al loro ripristino,  alle spese  e , in alcuni casi, anche ad un risarcimento danni valutato in via equitativa.

Così anche il Tribunale di Cosenza, che , accogliendo la richiesta dei genitori di un alunno disabile, ha  affermato “l’indubbia rilevanza costituzionale del diritto all’istruzione , che nei ragazzi con disabilità  può essere attuato soltanto  attraverso le misure d’integrazione e di sostegno che si rendono di volta in volta necessarie in considerazione delle specifiche problematiche “, evidenziando che “ la riduzione delle ore di sostegno risulta discriminatoria  anche in considerazione del fatto  che il diritto allo studio da parte degli altri studenti non risulta essere stato inciso in modo analogo”…” la documentata  consistente riduzione rispetto all’anno scolastico precedente  delle ore di sostegno prestate in favore della figlia  dei ricorrenti ha di fatto determinato una discriminazione ai danni della minore, incidendo su quelle misure d’integrazione  e di sostegno che ai sensi della legge n.104/92 e della legge n. 67/06 sono indispensabili per consentirle di fruire pienamente del diritto all’istruzione al pari dei compagni di classe, anche in considerazione della gravità delle problematiche indicate nella documentazione prodotta”.  Questa normativa deve essere sempre più conosciuta ed applicata a tutela  dei diritti di chi non ha voce, che purtroppo spesso sono minori affetti da gravi disabilità.