di Adelaide Conti
Nel saggio Consumati: da cittadini a clienti (Einaudi, 2010), il politologo Benjamin Barber analizza a lungo l‘ideologia infantilistica che permea questa fase storica. L’autore sostiene che l’infantilizzazione sia diventata

il motore più importante della nostra società degli ultimi decenni. Questa considerazione trova la sua più chiara verifica se si considera che nel corso degli ultimi trent’anni si è cercato in tutti i modi di abbassare la soglia dell’età del consumo e di infantilizzare il mondo adulto. Il politologo americano evidenzia innanzitutto come “un meccanismo tipico dei processi colonialistici e migratori, fondamentali per lo sviluppo delle dinamiche mercantili,
e cioè l’infantilizzazione dell’altro, sia stato ormai fortemente introiettato dalla società e dal sistema produttivo, che un tempo avevano sistematicamente utilizzato al loro esterno”. Basti pensare a come i “selvaggi” e le culture extraeuropee in genere venivano visti – culture primitive, arretrate, immature. Gli si davano pietre colorate di alcun valore in cambio di terre e d’oro, non molto diversamente da come vengono considerati e trattati gli immigrati oggi, peraltro.
Una società infantile ha bisogno di un linguaggio da bambini, di un’informazione facile, che tutti possano capire e che tutti possano contestare, di trasmissioni televisive dove si litighi come bambini capricciosi e ogni argomento sia tratto superficialmente.
E’ proprio in questo momento in cui la politica ha trasformato gli spazi pubblici in spazi pubblicitari, aprendo il fronte al relativismo assoluto, dove si può dire tutto e il contrario di tutto, che occorre ribadire alcuni punti fermi, senza i quali la specie umana rischia l’estinzione.
Occorre capire che noi non siamo vacanzieri su una nave, non siamo dei turisti che vivranno in eterno. Certo, nemmeno dobbiamo vivere preoccupati, ma occorre un sistema politico in grado di produrre a tutti i livelli quello che serve ai cittadini.
Occorre sostituire questa società così carente di conoscenza, questo mondo dell’infantilismo, e formare persone consapevoli, che sappiano distinguere il falso dal vero, che abbiano la maturità per capire che non si può vivere solo di divertimenti e illusioni. Tutto questo però deve iniziare a scuola. Ci sono cose che sappiamo da sempre sul vivere in comunità e una di queste è che per governare un popolo occorre che questo sia intelligente e preparato. Altrimenti cosa governiamo?

Invece, per non pensare alle cose serie, per non pensare alla morte stessa, la gente compra cose inutili e passa tutto il suo tempo a rincorrere l’evasione. Questa fuga dalla realtà, se persisterà in queste forme, segnerà la fine dell’umanità. Se noi ci allontaneremo ancora per molto dal sapere, e faremo finta che i pericoli non esistano, non potremo fare altro che soccombere sotto il peso di tutti i problemi che abbiamo ignorato. Bisogna riportare la gente a una conoscenza matura e profonda, senza questo passaggio non ci sarà futuro.
La vita è molto più complicata di quello che pensano i bambini che hanno creato questo mondo. Se non si abbandona questa dottrina di perenne gioco e divertimento ci troveremo in problemi davvero seri. Se tutti giocano, chi fa il giusto? In ogni campo, s’intende.
Per esempio in economia. Siamo sicuri che il sistema finanziario serve a creare benessere? Noi oggi abbiamo un benessere fasullo, un benessere di carta, un benessere della borsa. Ci sono delle persone che stanno giocando a fare soldi senza produrre niente. Questo non può essere tollerato, perché così si costruisce un mondo in cui tutti siamo sul Titanic.
Anche nel febbraio di quest’anno il mondo occidentale era imbarcato sul Titanic. Tutti avevano le case in città, le case in campagna o al mare. Da dove venisse quel benessere pareva non importare, era quasi qualcosa di dovuto. Poi, quando è arrivata l’emergenza, ci si è resi conto da subito che mancavano i fondi per affrontarla.
La grande lezione che il Coronavirus ci ha lasciato è che non dobbiamo vivere nella paura, semplicemente occorre sapere con cosa si ha a che fare. Non sappiamo che cosa ci aspetta ma conosciamo la lista dei pericoli e dovremmo essere preparati, perché qualora dovesse succedere qualcosa, si riesca ad affrontarla con maggiore efficacia.
Occorre capire che, o troviamo una soluzione a questo problema, o l’umanità sparisce. Non è una questione di se, ma di quando. Questo dev’essere chiaro, non stiamo parlando della meteora che arriva ogni qualche migliaio d’anni. La tempistica è molto diversa. Noi non stiamo dicendo che dobbiamo vivere nella paura, ma dobbiamo essere forti e avere conoscenze. Invece di abbandonarli davanti alle fake news in televisione, occorre cominciare a insegnare ai giovani e alla gente queste cose.
Bisogna sostituire le fake news con cose pratiche che si basino su conoscenze solide e democratiche. Dobbiamo assolutamente invertire una piramide che oggi poggia sulla testa. Se noi ricostruiamo la scuola, l’università, la ricerca, se ci impegniamo a essere divulgatori di una comunicazione corretta e precisa, allora inaugureremo un cammino diverso, che non ci metterà nelle mani dei creatori di falsità, di fake news, come invece accade oggi.
In giro si sentono contorte teorie di fantasiosi complotti e, invece, il mondo è sempre stato gestito da fattori economici, non da forze occulte che manovrano alle spalle della gente. Solo che queste cose non si studiano più e si preferisce raccontare favole, favole per un mondo di bambini.
Come giornalista questo tema mi è molto caro e credo che tutti dobbiamo davvero impegnarci per capovolgere la piramide, dobbiamo lavorare per capovolgere anche le parole di Mark Twain che con la sua consueta ironia scriveva che “il giornalista è colui che distingue il vero dal falso e pubblica il falso”.