di Isabella Marchiolo

Il loro motto è “meriti”. Significa che sei una bella persona, non sei finto, ci credi. Meriti. E quello che meritano gli admin delle pagine Instagram dedicate alle webstar è un segno di attenzione da parte dei loro idoli.

Un fenomeno vecchio come il mondo, eppure distorto nel labile diaframma tra realtà e virtualità – il nucleo del social dilemma. Le groupie, mamme e nonne di queste ragazzine che oggi si commuovono per un like, erano ammiratrici tradizionali: sognavano autografi e momenti di passione (una, la compagna storica di Vasco Rossi, dal suo mito ha ottenuto il massimo, l’amore della vita);

mentre gli ideatori di fanpage e fanzine erano innocui maniaci di un personaggio, collezionisti di memorabilia, musicisti da cover band. Quei ruoli erano ben definiti. Da una parte la star, dall’altra gli ammiratori, senza troppa confidenza.

La dittatura dei nuovi fandom, fabbriche di follower

I nuovi fandom azzerano le distanze. A gestirle, con tanto di bollino blu del profilo verificato, sono quasi sempre ragazze, giovanissime che stanno precocemente su Ig in nero, imbrogliando sull’età – dagli 11 ai 16 anni, crescendo l’attenzione si sposta poi verso le pagine personali. Non seguono le superinfluencer alla Chiara Ferragni, ma adorano gli youtuber e tiktoker, oppure i protagonisti delle serie Netflix o di teen reality come il Collegio televisivo.

Le bimbeminkia sono preistoria, adesso spopolano nomi assurdi come “la camicia di Tizio”, “la collana di Caia” e migliaia di hot, baby, my life. Pagine che nascono per portare alle stelle la fama di adolescenti senza arte né parte, che per queste ragazzine sono diventati amici, crush, fratelli. Coetanei che ce l’hanno fatta a diventare famosi e quindi si son guadagnati un esercito di sottone, ovvero ammiratrici-zerbino. Ragazzi della loro stessa età che condividono la loro esistenza sulla rete, molti dei quali (Luciano Spinelli, Ludovica Olgiati) si raccontano come ex vittime di bullismo, omofobia o disturbi alimentari, e con un balletto o un selfie, suscitano deliri e migliaia di cuori – da parte di ragazzine che non sono miss popolarità e sognano di emularli.

Al di là della venerazione ostentata, stavolta i fandom sanno di contare moltissimo, perché questo mercato non vende libri o dischi, ma follower. In questo meccanismo l’esistenza delle page, autentiche fabbriche di clic, è cruciale. Senza di loro, i vari Tancredi Galli e Valeria Vedovatti non sono nessuno.

E’ una sotterranea dittatura. In cambio, le fan vogliono un riconoscimento pubblico, chiesto attraverso martellanti tag del personaggio. Che, innanzitutto, deve seguirle. Poi mettere like a ogni edit o commentare in pagina. E ripostarle, condividerle.

Un gioco serissimo, virtuale ma non solo. Le imperterrite ragazzine si sono inventate anche il Fanpage Day, che se non fosse stato per la pandemia avrebbe dovuto svolgersi come un vero e proprio meeting, con orde di ragazzini in viaggio da ogni parte d’Italia per raggiungere la sede dell’evento, conoscere gli idoli e postare tik tok con loro finalmente dal vivo – a far rosicare le altre, che devono accontentarsi dei montaggi.

L’apoteosi ovviamente sono gli ambitissimi direct, capaci di suscitare crisi isteriche sottolineate dagli screen che amiche e family (sottocomunità di connotazione amicale/affettiva che riuniscono le pagine dedicate alla stessa persona) spammano a manetta. Se meriti, la webstar tutto questo te lo deve, sennò è come minimo stronza.

Il caso di Marta Losito e gli ammutinamenti delle page

Quest’estate, la milanese Marta Losito, già nell’occhio del ciclone per la partecipazione a un festino documentato su Insta in pieno lockdown, è stata attaccata perché, durante un shooting in Puglia, aveva liquidato frettolosamente una bambina che chiedeva un video insieme, concedendole l’elemosina di pochi secondi. Quasi in tempo reale si è scatenata la corale ribellione delle page (la ragazzina rifiutata, appena dodicenne, cura Stringjmimarta, una delle pagine più attive per Losito, con undicimila follower), costringendo l’influencer a replicare in una storia dove si scusava, spiegando di essere stata brusca a causa di un malore.

Marta – quasi due milioni e mezzo di follower, ma pure molti nemici che volevano farle oscurare il profilo – aveva già indispettito le fan restando lunghi periodi off proprio durante i mesi estivi. La sua saltuarietà con le fan aveva indotto DarlingLosito a postare una storia eclatante in cui la protagonista (non si è capito se lei o un’altra ragazza) in lacrime si tagliava il dorso della mano, disperata per l’indifferenza della sua eroina. Qualcuno, timidamente, ha difeso la Losito: «Siete molto ma molto pesanti. Anche voi vi prendete delle pause, solo che se lo fate voi va bene, se lo fa Marta dite che non tiene a voi. Ha 16 anni, è una ragazza e ha la sua vita, come noi». Ma dopo la considerazione pratica «raga, lei ha un botto di fanpage e non può calcolarle tutte», il gruppo è insorto. Riassumendo il parapiglia, così scriveva Salemi.amami (page dedicata all’influencer Giulia Salemi): «Eddai, loro ci mettono tutto il loro tempo ad editare e addirittura pagando e tu che fai? Non li calcoli? Beh, capisco che non puoi stare sempre attaccata ai social ma almeno mettigli like, che ti costa?»

Un defollow può causare ammutinamenti. Le pagine snobbate dall’idolo listano a lutto l’icona del profilo e si autocancellano, non prima di aver disseminato l’Instagram di messaggi autolesionisti e colpevolizzanti. Sembra un club di innamorati scaricati. «Ci siamo anche noi»; «I lost you»; «mi avevi dato la vita e me l’hai tolta»; «ti prego scrivimi in dm voglio chiarire»; «grazie di tutto, torna presto per farmi sorridere». Attorno, un appassionato cordone di sostegno. Tranquilla tesoro, lei/lui tornerà. Ma soprattutto, rivolti alla webstar ingrata: ti prego seguila, merita.

La vera cifra è la forza del gruppo. Dalle editrici più brave scaturiscono spin-off personali. Fan delle fan, altrettanto insottonite, che si omaggiano a vicenda con video, post e storie sdolcinate.

Ogni “meriti” rimbalzato da una page all’altra è un attestato di valore. Chi riscuote questo successo s’illude di fare il salto di qualità e diventare a sua volta personaggio, per luce riflessa. Ci si aiuta con sponsorizzazioni reciproche per raggiungere la vetta dei 10.000 follower, una specie di anzianità di livello che campeggia come trofeo nelle biografie.

Ma se lo fai capire, è la fine: la fanpage pura nasce per dedicarsi all’idolo, se invece cerchi la notorietà per te sei falsa. E non meriti più.

Un mondo virtuale di amori, amicizie e spietato cyberbullismo

Dentro la bolla dei fandom nascono legami viscerali. Tutto è amplificato, eccessivo. Le ragazze si conoscono via chat e subito si eleggono amiche del cuore, si scrivono cose romantiche come «hai cambiato la mia vita» e «per te ci sarò sempre». Il lockdown ha acuito la dipendenza: prima della quarantena queste ragazzine malate di social studiavano, facevano sport, inglese o musica; adesso sono ossessionate dalla necessità di postare ad oltranza, arrivando a giustificarsi per gli intervalli di inattività richieste dalle incombenze quotidiane – la vita vera come spot pubblicitario di quella on line.

Ma si scontrano pure, con le modalità del più spietato cyberbullismo. Vali soltanto se sai editare – e quindi ottenere un riscontro da parte dell’idolo, oggetto del desiderio e vero obiettivo dei membri del fandom. Per conquistare il plauso delle family, molte editrici usano app a pagamento. AfterEffect, VideoStar, Funimate, Alight Motion. Happy Mod per craccare le versioni pro. Piccoli abbonamenti annuali da trenta euro che non mandano in miseria le famiglie, è vero, però fa specie che le nuove paghette si spendano così, una roba al confine con la ludopatia.

In partenza sono tutte baci e teneri emoticon. Poi le meno dotate nell’editing declassano a sfigate da annientare: gli odiatori si organizzano per umiliarle brutalmente, nei casi peggiori hackerano le loro pagine (per questo tutti si premuniscono con account-riserva da sostituire in tempo reale a quelle attaccate dai pirati). Contro qualcuno esistono persino le velenose hate page, create appositamente come agorà di shitstorming personalizzato.

Gli sfoghi postati dalle vittime fanno venire i brividi. «Sì, avete ragione, io non valgo niente. Ma cosa vi ho fatto? Se volevate farmi del male ci siete riuscite».

Una ragazzina presa di mira dai pirati posta uno zoom dei suoi occhi rossi di pianto: «Non dormo la notte per controllare insta e vedere se la pagina c’è ancora, con la  paura di avere la notifica “è stata effettuata la disconnessione”. E non capisco perché XXX non mi caga e non ho il follow, io sono una ragazza dolce, perché?». Felicità e amicizia, odio e vergogna sui social sono sentimenti potentissimi, tanto da non poter competere con la realtà. Fuori da lì, si estende un deserto della comunicazione, spesso anche degli affetti. I genitori sono chissà dove mentre le loro figlie, da sole per ore, vivono l’adolescenza davanti allo schermo di un cellulare.