Come si fa a non inchinarsi davanti a questa nazionale di calcio guidata da Mancini.

E’ doveroso per innumerevoli motivi: perché il ranking del nostro calcio dopo l’eliminazione dal mondiale era prossimo allo zero e ora viaggia nei piani alti delle graduatorie internazionali, com’è giusto che sia; perché il nostro allenatore ha il record di successi dopo 37 gare disputate, ben 28, più di Sacchi che ne aveva 24; perché mai come in questo momento, dopo 130.000 morti per covid e una “detenzione” di un anno e mezzo, l’Italia ha bisogno di sentirsi unita, forte e soprattutto serena, per ripartire e recuperare il terreno perduto e se possibile puntare ad una crescita straordinaria, recovery-fund o Pnrr, come diavolo si chiama, in poppa, e la storia insegna che tutto quanto di bello accade alla nazionale di calcio influisce notevolmente anche in economia, proprio perché il calcio è vita, orgoglio, sfida, tensione al risultato, passione. Insomma, se dovessimo ancora far bene, senza dire di più per non irritare gli scaramantici della pedata, il terreno di coltura in cui la ripresa dovrà realizzarsi sarebbe davvero quello giusto. Poi, poco dopo la conclusione degli Europei, ci saranno le Olimpiadi di Tokyo, e gli italiani avranno ancora di che galvanizzarsi e non dormire la notte. A metà agosto, senza contare le coppe, ripartirà il campionato, la 120° stagione calcistica della storia, si spera con gli spettatori sugli spalti, che è “tutta ‘nata storia” come avrebbe detto l’immenso Pino Daniele, per terminare il 22 maggio 2022. E da li partirà lo score che ci porterà verso il 21 novembre dello stesso anno, quando si disputeranno i mondiali di calcio in Qatar, per la prima volta in periodo autunnale considerato il caldo proibitivo dei mesi estivi a quelle latitudini. Ovviamente pandemia permettendo e facendo le corna, perché rinviare ancora una volta le competizioni sarebbe un mezzo disastro. Quasi due anni di sport intenso, dunque, quelli che sono partiti e che ci restituiranno un po’ di senso a questa nostra complicata ma avvincente esistenza. Inchiniamoci, dunque, davanti agi atleti per quello che faranno e per le salutari emozioni che continueranno a regalarci.

Ma stiamo attenti, perché proprio su un altro inchino abbiamo rischiato un capitombolo senza precedenti. Anzi, per dirla tutta, con la faccia a terra ci siamo già finiti e la toppa che c’abbiamo messo per certi versi è stata peggiore del buco. Ma andiamo con ordine. Il pasticciaccio è iniziato prima dell’avvio di Italia-Galles, ultima partita del girone eliminatorio di questi entusiasmanti Europei, quando all’inchino convinto dei calciatori avversari, in adesione alla campagna mondiale contro il razzismo del movimento Black Lives Matter, i nostri campioni hanno risposto solo in cinque. Una scena, diciamolo pure, imbarazzante e ridicola. Come se non bastasse, dopo le polemiche è iniziata una sequela di dichiarazioni al limite del “nonsense” Un inciampo dietro l’altro, avviatosi con le parole di Bonucci, che, dopo la figuraccia, annunciava che la nazionale avrebbe assunto un comportamento univoco non aderendo alla campagna e non inchinandosi ad inizio gara (sic!), per finire con le affermazioni surreali del buon Chiellini, che assicurava che gli azzurri si sarebbero comunque inginocchiati ma solo su richiesta dell’altra squadra, per sentimento di solidarietà. “Cercheremo di combattere il “nazismo” – ha detto proprio così – in un altro modo, con iniziative insieme alla Federazione nei prossimi mesi” In buona sostanza la nostra nazionale si sarebbe inginocchiata, così come poi ha fatto prima della partita con il Belgio, vinta magnificamente, ma solo perché lo avrebbero chiesto gli avversari. E così siamo finiti sotterrati sotto una grande e mondiale risata, facendo la figura di un’italietta senza spina dorsale, senza attributi, incapace di prendere una posizione chiara, che peraltro per un paese civile non poteva che essere una sola: adesione piena e convinta alla campagna. C’inginocchiamo, dunque, ma senza convinzione, e non cancelliamo l’onta di aver strizzato l’occhiolino a quelli che quando si parla di battaglia contro ogni forma di razzismo, come la nostra Costituzione sancisce nobilmente, viene l’orticaria, l’insonnia e probabilmente un coccolone. Si dice che lo spogliatoio, che Mancini ha reso unitissimo, si sia spaccato solo su questa vicenda, che con il calcio non c’entra un accidenti, ma ha a che fare con le sensibilità, diciamo così, politiche. E’ lecito pensare, allora, che questo clima di intolleranza verso chi ha un diverso colore della pelle, che nel nostro Paese sembra alimentarsi con una certa inquietante frequenza, abbia interessato la tranquilla Coverciano? Non lo sappiamo ma speriamo vivamente di no, anche se il calcio alla politica non ha mai lesinato la genuflessione. Altro che inchino.

Rino Muoio