E’ crisi profonda tra editori e autori. Tempi di valutazione lunghissimi, giri di valzer con curatori che resistono una stagione, nascita e agonia di collane criptiche e slittamento continuo delle date di uscita dei libri: ormai gli scrittori non ce la fanno più. Uno spleen che ora incupisce anche nomi già editi e con discreto successo di critica e vendite, delusi e stanchi. Ed è un fatto nuovo. Perché si sa che agli esordienti, costretti al vagabondaggio di manoscritti, vada molto peggio con un finale scritto ben prima dell’uscita dei loro libri, ovvero la pubblicazione a pagamento proposta persino da case editrici insospettabili, le fetentissime del “doppio binario”: quelli che per etica da sepolcro imbiancato non fanno pagare i noti della Repubblica delle Lettere (che potrebbero sputtanarli) ma soltanto gli sconosciuti. Tanto 2000 euro cosa vuoi che sia, in fondo c’è il tuo nome su una copertina, ora sei uno scrittore!

Fin qui non diciamo nulla di originale. Triste ma vero. E’ un’impalcatura antica, imponente e purtroppo quasi impossibile da smantellare poiché si alimenta vampirescamente dei sogni delle sue vittime (provate a convincere un autore a pagamento che il suo non è un editore ma un mero tipografo e che avrebbe fatto meglio a stampare nella cartoleria sotto casa, vi mangerà vivi).
Adesso però, dicevamo, accade qualcosa di inconsueto, e non riguarda i dilettanti allo sbaraglio. Il primo segnale lo ha dato qualche mese fa Gallimard, con un avviso su Twitter che aveva scandalizzato gli addetti ai lavori. Lo storico editore francese chiedeva con gentile fermezza di non inondare la propria posta di inediti, che nei mesi del lockdown erano arrivati fino a una cinquantina al giorno. Facendo capire che non si trattava di capolavori, Gallimard ha detto stop ai sedicenti geni incompresi della pandemia, pur assicurando che sarà soltanto una pausa. Una posizione che è apparsa snob, ma tant’è. L’incompatibilità è reciproca. Gli editori vogliono andare sul sicuro (non è una scoperta) e gli autori vogliono essere pubblicati con celerità. Nel cuneo tra domanda e offerta – l’accogliente intersezione del direct publishing – si è inserita una vecchia volpe, pronta a sbancare il mercato.
Amazon lancia l’autopubblicazione e per molti scrittori italiani si sta rivelando una strada praticabile. Se l’obiettivo è uscire ad ogni costo e subito, si può fare. La pensa così pure uno che della letteratura è neofita ma nazionalpopolare a causa di altri poco ameni motivi, Danilo Toninelli. L’ex ministro entra a gamba tesa nel settore realizzando la simil-biografia “Non mollare mai”, che ruba il titolo a una canzone di Vasco: un appassionato memoir sulla sua figura di eterno bersaglio ma fiero e indomito: oltre che autopubblicata, l’opera è sicuramente autocelebrativa. Duecento pagine che, a detta di chi lo ha letto, per pesantezza sembrano almeno il triplo.
Un piccolo caso è poi “Nuda”, romanzo erotico molto hot di Anna Salvaje, pseudonimo della titolare di un omonimo blog che la leggenda vuole nato come diario intimo dedicato al giovane amante. Invece quelle pagine di sesso esplicito, dove è la donna a condurre il gioco senza tabù, sono prese d’assalto da lettrici affascinate da quell’amore spudorato, tanto da convincere Anna a farne un libro, segnalato tra i titoli più venduti su Amazon. Attenzione, però, alle facili illusioni: per scalare la classifica bastano una o due copie, e altrettanto rapidamente si scende, nei periodi di magra.
Era successa la stessa cosa a un autore di genere molto diverso, l’ultraromantico Roberto Emanuelli, oggi quotatissimo con una serie di libri editi da Rizzoli e Sperling&Kupfer. Aveva iniziato anche lui con un blog assemblato in romanzo: contattato e poi scaricato da Rizzoli, Emanuelli si era pubblicato il suo “Davanti agli occhi” (ma con Ilmiolibro.it), convincendo l’editore a tornare a Canossa. Da lì la fiaba che lo ha trasformato in idolo di signore e signorine single, mogli romantiche e sognatrici varie a cui lo scrittore cortese ripete che il vero amore esiste e un giorno arriverà.
Ma non tutti gli autori indipendenti sono blogger, giallisti della domenica o stilatori di diari e pensierini con velleità narrative. L’autopubblicazione è oggi una scelta sofferta e orgogliosa per Veronica Tomassini, autrice siciliana molto apprezzata dalla critica, che indaga le periferie e le vite delle popolazioni del Nord-Est europeo, per lo più esistenze disperate e perdute. Il suo libro d’esordio, “Sangue di cane” (Laurana) costruito su una scrittura barocca, affilata e cruda, è nei programmi di studio di università americane e oggetto di un saggio per la Press University di Toronto; poi Tomassini ha pubblicato “Christiane non deve morire” (Gaffi), “L’altro addio” (Marsilio) e “Mazzarrona” (Miraggi), oltre al racconto “Il polaccio Maciej” (Feltrinelli) – tutti con editori diversi, il che non è il massimo per uno scrittore di mestiere. ll suo nuovo lavoro, “Vodka siberiana”, lo ha scritto a puntate sul blog del Fatto Quotidiano e ne voleva fare un romanzo epistolare: dopo due anni di silenzi, ritardi e rifiuti dell’ultima ora privi di motivazione, ha saltato il guado e ha fatto da sé. Con dignità e amarezza. La copertina gliel’ha disegnata la bravissima artista e grafica Alina Catrinoiu; fa un po’ male dirlo ed è forse ingiusto, ma per comprare il libro bisogna rivolgersi all’autrice.
Ma torniamo ad Amazon. La piattaforma di pubblicazione si chiama KDP (Kindle Direct Publishing) e l’attività è completamente autonoma, circostanza che dopo i primi entusiasmi può mettere in difficoltà i digiuni di editing. Se non trovi la via giusta per una sinossi accattivante, un’impaginazione semplice e soprattutto non anacronistica o puerile (molti si lasciano sedurre dalle numerose opzioni con il rischio di farsi prendere la mano) e un titolo che abbia le giuste keywords per espugnare l’algoritmo, sarà arduo essere trovati dai lettori e quindi conquistarli attivando l’arma vincente del passaparola. La fase creativa, insomma, non è di quelle che si portano a termine in pochi clic, prevedendo in premessa pure una logorante serie di domande personali finalizzate a “conoscere” il cliente. Però non costa nulla e l’azienda trattiene soltanto una percentuale sui guadagni delle vendite, proponendo all’autore fino al 70% di royalties. Il battage tra gli utenti è la pubblicità più efficace e avviene attraverso le giornate di promozione gratuita e soprattutto le recensioni, tanto che in Usa esiste un mercato – neanche nero – di critici prezzolati capaci di far lievitare i like alle pagine dei libri. Inutile provare a scriversele da soli, Amazon se ne accorge subito perché per recensire bisogna aver comprato il libro e tramite i dati di pagamento si risale quasi sempre all’acquirente, anche se avesse ordinato da un account fake: le narcisistiche recensioni farlocche così sgamate vengono fatte fuori spietatamente.
Il vero punto debole sta ovviamente nella distribuzione. Amazon richiede l’esclusiva con lo store digitale Kindle ed è persino peggio che in libreria con il più piccolo dei piccoli editori. Roberta Nina Bianchin, autrice del delizioso romanzo chick-lit “Vorrei essere un’anatra”, ha già alle spalle altre pubblicazioni con editori classici, ma stavolta ha tagliato corto: «Per questo libro non volevo aspettare la valutazione, le correnti giuste e tutta la solita trafila. No, io lo volevo mettere fuori ora, subito». Una scelta che si è rivelata vincente nell’investimento: «Economicamente non c’è paragone – spiega – il guadagno è molto alto rispetto a un editore tradizionale, qui le royalties sono altissime, e poi c’è il grande vantaggio di avere potenzialmente un’utenza di lettori infinita e sempre connessa. Amazon lo usiamo ogni giorno, dal telefonino, e per comprare di tutto, dai vestiti alle batterie».
Ma non tutto si può avere, Amazon non è Babbo Natale. «A me manca tutto il canale distributivo –continua Bianchin – in questo senso Amazon praticamente non esiste e sono io il distributore di me stessa. Quello che incassi con i diritti lo perdi di fatto perché le copie vendute sono poche. Mi fa felice vedere che il libro è molto acquistato nei weekend, io lo penso come un romanzo leggero, da spiaggia. Ma certo non sono i numeri che farei con un distributore».
Che sia fortuna, capitare al posto giusto nel momento giusto o vero talento, un’altra autrice per “pollastrelle” Anna Premoli, è volata dall’autopubblicazione ai best seller da 900.000 copie. La prolifica Premoli (dal 2012 sforna un libro all’anno) ha esordito grazie al marito, che l’aveva iscritta a sua insaputa sulla piattaforma Narcissus con il romanzo “Ti prego lasciati odiare”, che poi, pubblicato da Newton&Compton (attualmente suo editore fisso), ha vinto il premio Bancarella.
I competitor dell’editoria (“tradizionale”, “vera”?) non stanno a guardare. Premettendo una dose di onestà intellettuale nel riconoscere i motivi che portano un autore ad autopubblicarsi, in cuor loro pensano sia una scelta condivisibile o addirittura giusta nel momento storico corrente? Giulio Mozzi, scrittore, consulente editoriale e direttore della scuola di scrittura creativa Bottega di narrazione, risponde così: «“Una scelta giusta” da quale punto di vista? Lo scrittore affermato può passare all’autopubblicazione per due ragioni: per guadagnare di più, o per fare a meno degli editori. Ma se grazie agli editori si è affermato, non vedo perché dovrebbe volerne fare a meno. Per ripetere in autopubblicazione un successo già avuto con gli editori bisogna investire molto, in pratica mettere su una piccola azienda per conto proprio, contando che il proprio nome sia diventato un “brand”. Si può guadagnare di più se si riesce a fare a meno del canale delle librerie: ma, al momento, il canale delle librerie è ancora troppo importante, credo».
«Anche chi si compera su Amazon i libri che ha visti in libreria (per dire) – continua Mozzi – ha pur sempre bisogno della libreria per vedere che c’è di nuovo. Insomma, ho i miei dubbi. Invece chi si autopubblica perché non trova un editore fa qualcosa di completamente diverso. In un caso su tanti ha ragione ad autopubblicarsi, perché effettivamente la sua opera vale (cioè è molto bella, o può trovare tanti lettori, o entrambe le cose); ma in tutti gli altri casi su tanti ha torto, secondo me. Ho visto molte persone scegliere di autopubblicare romanzi anche veramente orribili».
Sì, in effetti il rischio è questo. Se entriamo nella categoria libri di Amazon, tra gli annunci di titoli senza apparente editore, notiamo “Perla” di Carlo Belpoggio, presentato come “un romanzo pieno di sorprese!”, storia di una ragazza che sboccia dal focolare domestico per diventare una manager e salvare l’azienda di famiglia (con un’orrenda copertina da spot di crema antiage e estratti illeggibili); “Carrozza 12” di Paolo Navi che per lo meno, alludendo ad uno strano incidente ferroviario, richiama il bellissimo film “Cassandra Crossing” con Richard Harris e Sophia Loren nonché il romanzo di Robert Katz da cui fu tratto (ma temo sia molto diverso); e “Ama il tuo peccato” di Cat Venus, su cui perdonerete una certa aspettativa sul contenuto che mi spinge a non volerne sapere di più. Giulio Mozzi conclude con un’idea: «Una cosa più interessante potrebbe essere l’autopubblicazione non individuale, ovvero la creazione di una casa editrice i cui soci siano scrittrici e scrittori. Ma qui si va su tutto un altro discorso…».
Isabella Marchiolo