Ordinanza nei confronti di 6 persone, di cui 4 arrestate. È il risultato dell’operazione  “Brooklyn”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha, nel suo ventre, due aspetti. Uno negativo e uno positivo. Il lato dolente rinviene dal cinismo delinquenziale dei protagonisti che pensavano di essere al riparo di ogni sospetto e baciati da una immunità eterna. Il dato rincuorante è dato dagli anticorpi della legalità, nella fattispecie rappresentato dalla serietà della Guardia di Finanza che ha svolto l’indagine guardando anche al suo interno senza alcuna remora.

Tuttavia, l’amarezza è grande. E chi passa dal ponte Morandi, ora velatamente tranquillizzato dagli addetti ai lavori, non può non pensare come la vita delle persone sia stata affidata a una banda di criminali.

In parallelo con la Dda c’è stata l’azione della Dia, una sorta di Fbi italiana voluta da Giovanni Falcone, che è appunto un organismo interforze che, con la massima discrezione, conduce indagini a tutto campo. Poiché questo organismo è soggetto a continue rotazioni direttive, il pericolo di incrostazioni e stagnazioni è limitato al massimo. Da qui l’efficienza delle azioni e l’efficacia dei risultati. Dda e Dia hanno messo a fattor comune le intuizioni del caso, svelando i legami degli indagati, associati in un consociativismo provinciale e piccolo-borghese.

La gomma del ponte assume la metafora di qualcosa che attacca al primo contatto. A una rapida lettura dell’ordinanza appare chiaro che i vari filoni d’indagine si tengono assieme per la facilità con la quale è pervasa l’usanza corruttiva dell’ambiente nel quale si è generato ogni cosa. Favori chiesti e ottenuti stanno a monte di tutto. Sembra la catena di Sant’Antonio che ha interessato, sino a prova contraria, pezzi di società apparentemente incorruttibili. La corruzione sembra reiterata e fa da sfondo a una pratica abbastanza diffusa.

Bruno Gemelli