Gianfranco Rotondi da Avellino ed Enrico Letta da Pisa, politici di lungo corso, hanno una cosa in comune. Provengono dalla Democrazia Cristiana. Oggi li divide il giudizio di Silvio Berlusconi. Rotondi, a margine della presentazione del suo libro a Milano, “La variante Dc”, ha detto: «A mio avviso il presidente Berlusconi è la scelta possibile e doverosa per un Parlamento che imbocchi la strada delle vere riforme e del presidenzialismo».

Letta, invece, col suo fare gesuitico, nel corso di una intervista rilasciata a “Il Sole 24 Ore”, ha controbattuto: «Rivedendo i dodici presidenti della Repubblica non si trova nessun leader capo politico. Sono stati figure più istituzionali, e se è avvenuto così non è un caso. La figura richiede spiccato senso delle istituzioni. Personalità che hanno avuto incarichi istituzionali, normalmente super partes».
Con molto tatticismo, in questo periodo non si parla altro che di Quirinale. E fa concludere al quotidiano caffè di Massimo Gramellini: «La bonaccia ha placato persino i caporioni che bivaccano alle porte del governo. Passi per Conte, che era già autoipnotico prima. Ma dove è finita la furia di Grillo? Salvini ha indossato la felpa dello statista, anche se gli sta un po’ larga, e fa meno notizia di Ibrahimovic. Meloni si è data un tono da gollista della porta accanto. E Berlusconi, che aveva sempre cercato di assomigliare a Perón (Evita, ovviamente), pare diventato la Merkel. Restano i fiumi di parole tra Renzi e Calenda, i nuovi Jalisse, ciascuno dei quali vorrebbe stare in un partito di cui l’altro fosse vicepresidente, ma si tratta di rumori di fondo. Sul palco della chiacchiera biliosa, social e tv, i politici non appaiono più. Sarei curioso di sapere come passano il tempo».
Bruno Gemelli