Si comincia a novembre negli Stati Uniti con il “sacrificio” del tacchino il giorno del Ringraziamento, dimenticando che gli unici a non “ringraziare” sono proprio i tacchini. Poi i rituali di questa nostra festa, il Natale, espressione solenne della chiesa cattolica, proseguono un po’ ovunque, passando dai mercatini e dai centri commerciali alle tavole imbandite, ma sfiorando le chiese e portando ondate di finto buonismo e di filantropie da ostentare.

Diciamo la verità: a prescindere dalle censure UE (poi ritirate) e dalle altre religioni, che vanno comunque sempre rispettate, del Natale ci siamo “rotti” da tempo. E’ una pièce teatrale che non attira più (purtroppo) neppure i bambini, che questo biennio di pandemia ha reso più cinica, sarcastica, crudele, quasi con un alone di nonsense. Nel mondo è come se decine e decine di città fossero state spazzate via da un’esplosione nucleare, ma è stato soprattutto il Covid a uccidere quella gente, lo credano o meno i no-vax.
E nel rigore dell’inverno, quando gli snob sono divisi tra un Sassicaia e una Bonarda, un filetto di cervo e una ricciola, i barboni continuano a morire in mezzo alla strada, a volte coperti dalla neve, a volte esposti con stupore come se tutto fossero meno che esseri umani. Il Natale del ricordo di ciaramelle e di racconti della nonna davanti al caminetto, di lasagne e di lenticchie e zampone, di strenne e di bevute di vino tra amici da generazioni ha da anni lasciato il posto al consumismo e alla globalizzazione, a quei finti valori che con gli alari del caminetto non hanno nulla da spartire. E ha lasciato sempre meno speranze ed entusiasmi.
Esiodo ne “Le opere e i giorni” narra che Zeus donò a Pandora un vaso, raccomandandole, però, di non aprirlo. Ma la curiosità di Pandora prese il sopravvento e aprì il vaso liberando così tutti i mali del mondo. Sul fondo del vaso rimase, però, solo la speranza, che non fece in tempo ad andare via prima che il vaso venisse chiuso di nuovo. Da quel momento tutto cambiò e Pandora si decise ad aprire nuovamente il vaso per far uscire anche la speranza.

Dei mali del vivere soffriamo, spesso in silenzio. A volte narriamo, per professione o per diletto, siamo costretti a condividere quelli degli altri, siamo molte volte impotenti nel fornire un utile contributo al tentativo di risolverli, ma forse quella speranza che era in fondo al vaso non è andata via del tutto o almeno vorremmo credere che sia così, abbiamo il dovere di promuovere un’inversione di rotta per ciò che riteniamo migliorabile, giusto, vera eredità per le future generazioni.
Ma dobbiamo, quantomeno, avere un po’ di quella curiosità che ebbe Pandora nel liberare i mali del mondo prima ancora della speranza.
Letterio Licordari