C’è una guerra parallela, non cruenta, ma per Putin potenzialmente più letale di quella, impari, che si combatte nelle città e nei villaggi dell’Ucraina. E’ la guerra economica e finanziaria dichiarata a Mosca dalle democrazie occidentali.
La Borsa di Mosca è chiusa. Le contrattazioni rimarranno ferme almeno fino a chissà quando. Il blocco ha impedito il tracollo delle azioni quotate, ma non ha evitato che questo avvenisse nelle Borse internazionali, dove – come è accaduto a Londra – i titoli russi hanno bruciato fino al 90% del loro valore.


La situazione, per Putin, è aggravata dal fatto che la banca centrale russa non può più attingere ai miliardi di riserve valutarie detenute all’estero, che secondo Fortune ammonterebbero a 630 miliardi dollari. Risorse indispensabili per sostenere il rublo.
Stati Uniti, Giappone e Unione europea, dove è depositata la maggiora parte di queste riserve, hanno bloccato l’accesso ai conti. Il congelamento dei fondi all’estero è una misura da economia di guerra che in passato gli Stati Uniti avevano adottato solo nei confronti di Afghanistan, Iran, Siria e Venezuela. Le ripercussioni che queste misure avranno sulla vita quotidiana dei russi potrebbero intaccare il consenso su cui Putin può fare ancora affidamento.