La moda, da sempre sinonimo di bellezza, lusso ma anche maniera e regola, è l’abito più prezioso che veste meglio la nostra contemporaneità, raccontando chi siamo, quella che è la nostra storia personale e il tempo che stiamo vivendo.

Dopo esserci tolti di dosso tute e pigiamoni, espressione di un lockdown globale che ci ha rinchiuso in casa, annullando le nostre certezze e riducendo il guardaroba all’essenziale e al minimalismo sostenibile, eccoci ripiombare in un problema ancora più grosso e drammatico, quello della guerra in Ucraina, che è entrata prepotentemente nelle nostre vite, condizionando scelte e turbando nuovamente i nostri equilibri interiori. 

Il conflitto europeo innescato da Putin, ed ancora in atto, inevitabilmente ha impattato sull’economia mondiale e sul sistema del fashion, facendo traballare stilisti e addetti ai lavori nel settore moda, ambito che in Italia vanta da sempre fatturati di tutto rispetto.

La moda delle passerelle con pizzi e lustrini da una parte, l’orrore della guerra dall’altra, con immagini di devastazione, migrazioni e stragi di civili, sono il ritratto della contraddizione dei nostri giorni.

Proprio nel momento in cui Milano, si riappropriava dell’appellativo di capitale della moda, con l’inizio lo scorso febbraio della Fashion week, non poco lontano da casa nostra, piovevano bombe.

Proprio in quella settimana dedicata al made in Italy, dove i buyer russi, hanno rappresentato sempre una fetta importante negli investimenti di mercato, Re Giorgio Armani per protesta ha organizzato la prima sfilata silenziosa, il cui unico rumore è stato rappresentato dal passo felpato delle modelle.

Non è stato l’unico a prendere le distanze dal conflitto europeo. Tanti tra gli stilisti: da Fendi, a Donatella Versace, da Balenciaga alla maison Valentino che ha appoggiato l’operazione lanciata dalla Camera della Moda italiana con una donazione di 500.000 euro a supporto di UNHCR per l’accoglienza dei profughi ucraini. Lo stesso ha fatto Prada.

Durante la sfilata di Max Mara, anche alcuni ospiti hanno mostrato un cartello in inglese che recitava: “No war in Ukraine”. Modelle come Bella e Gigi Hadid, hanno dato i loro compensi della sfilata della moda milanese ai profughi ucraini

“Sono immagini apocalittiche quelle che vediamo in tv tutti i giorni– commenta così Antonon Giulio Grande, fashion designer calabrese- vedere le oligarche russe e le influencer che tagliavano a pezzetti le borse di Chanel, così come gli stilisti, come Swarovski, allontanarsi dal mercato sovietico, non lascia presagire niente di buono. La moda deve essere una zona franca. Solo con la mediazione e con il dialogo si costruiscono rapporti di successo”.

A questo proposito, ci siamo chiesti: quanto il periodo storico, influenzerà il nostro modo di vestire? Sappiamo per certo che la moda è un’industria, una fabbrica di idee ma anche un veicolo di comunicazione e anche per questo non rimarrà impermeabile ad eventuali cambiamenti storici.  

La guerra ci sta mostrando infatti come anche l’immagine in mimetica del presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyche che ha preso in mano il suo Paese, portando avanti una resistenza, a limite del pensabile, può influenzare anche la percezione del nostro modo di vedere le cose, un po’ come se in questo caso “l’abito facesse il monaco”.  Così le stesse immagini delle donne ucraine, che imbracciano un fucile e che preparano le bombe molotov, in un aspetto poco curato, imprime nella nostra memoria l’idea di una donna, la cui mise preferita resta la personalità e la forza.

Come abbiamo visto, già nel primo conflitto mondiale, la moda cambiò radicalmente e molto velocemente. Le donne venivamo da una moda opulenta, ottocentesca e sfarzosa, ricca e scomoda. Ed il loro ruolo era relegato alla casa, alla cura e alla rappresentanza. Proprio in quel periodo fecero quindi la comparsa negli armadi tessuti più comodi, come il jersey. Le gonne si fecero più corte per praticità. Spesso le donne indossavano anche pantaloni e completi, i primi esempi di quello che oggi viene definito stile androgeno. Arrivò anche per le signore il tailleur militare, ispirato alle divise dell’esercito.

La moda, è sempre stata una fotografia dei nostri tempi, con il conflitto ucraino ancora in corso e con la speranza che si possa trovare presto una via d’uscita verso la pace, chiediamo, in conclusione ad Anton Giulio Grande, se gli stilisti si lasceranno ispirare da questo momento. “Quello che stiamo vivendo non è un gioco, non credo ci saranno stilisti che speculeranno sui look da guerra, da riproporre in passerella, sarebbe qualcosa di cattivo gusto. La moda deve far riflettere, lanciare messaggi di speranza. È vero che il futuro della moda è incerto, ma io credo che “la bellezza salverà il mondo”, per questo sto preparando una collezione di abiti rossi. Rosso è l’amore, il sangue che scorre nelle vene, l’erotismo, la vita”.

Rossana Muraca